Salza, antropologo da “prima linea”, racconta attraverso
la narrazione dei suoi viaggi ma soprattutto lasciando parlare i protagonisti
dei suoi incontri semplicemente e drammaticamente come si vive quando non si
ha niente. Ma niente nel vero senso della parola. I capitoli che si susseguono,
messi in fila, compongono la lista nuda e cruda di questo “niente”: niente cibo,
niente acqua, niente gabinetto, ma ancora niente diritti, niente patria, niente
scuola, niente pace. Apre una finestra sulla miseria estrema, quella che gran
parte di noi nemmeno immagina e riesce ad immaginare possibile o come si direbbe
oggi sostenibile. Le persone che ci si trovano dentro, dalla nostra parte del
mondo, sono invisibili, inesorabilmente discese negli inferi senza rumore,
senza clamore, definitivamente appartenenti ad un mondo separato e da dove non
vi è alcuna possibilità di ritorno. “La società globale assomiglia sempre di
più ad una clessidra”, commenta Salza, “chi è sopra può scivolare sotto, chi è
sotto non può più risalire”.
Lungo tale direzione Salza arriva ad esporre la tesi più provocatoria del libro:
la comparsa dell’Homo Nihil, vale a dire l’uomo che non ha nulla a tal punto da
far sì che tale condizione, generazione dopo generazione, sia capace di avviare
una dinamica di differenziazione della specie, di comparsa di una nuova forma di
“umano”, fino ad oggi sconosciuta. Oggi conosciamo almeno 80 geni sensibili
all’imprinting ambientale. L’aumento e l’isolamento dei poverissimi nei loro
ambienti malsani, rigidamente separati da quelli dei ricchi, si configura come
un’autentica speciazione, prima culturale e poi, col tempo, biologica.
Come uscire da tutto ciò? “Il buonismo non serve a nulla, la solidarietà non
basta, anzi per come generalmente viene intesa oggi probabilmente dannosa”.
Ciò che serve è una vera condivisione, intesa innanzitutto come lotta determinata
e infaticabile per contrastare l’innalzamento dei muri fisici e culturali tra il
mondo ricco, sempre più difeso con la forza militare, e quello povero, quello di
chi non ha niente. In prima battuta facendo proprio il coraggio di guardare
davvero in faccia il mondo per quello che è, aprendo gli occhi verso la parte
bassa della clessidra ma anche raccontando ai poveri che cos’è e cosa è diventato
il mondo dei ricchi. Solo in tal modo avremo forse qualche possibilità di fermare
l’involuzione della nostra specie.
Fabrizio Lertora
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