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Alberto Salza

 

Alberto Salza

Nato a Torino nel 1944, dopo gli studi in fisica si è mutato in antropologo free lance. Ha compiuto numerose missioni scientifiche sul campo, dal Sudafrica al Belize, dalle Montagne Rocciose canadesi allo stretto di Bering. Da quarant'anni studia le strategie di sopravvivenza in Africa, in particolare nella zona del lago Turkana: dalle problematiche dei nomadi alla ricostruzione dell'origine della cultura di quattro milioni di anni fa.

Ha collaborato con varie università, organizzazioni umanitarie e istituzioni, fra cui il Ministero degli Affari esteri, l'Unione europea e le Nazioni Unite. Collabora con numerose riviste scientifiche e divulgative, fra cui Le Scienze, D di Repubblica, Airone, Focus e ha pubblicato diversi libri.
Grande narratore di storie, per quarant’anni ha vissuto pericolosamente a contatto con la miseria estrema, dalle periferie delle nostre città agli slum delle megalopoli di Africa e Asia. Ne ha ricavato un pugno di teorie e molti taccuini di aneddoti e incontri con personaggi impossibili da dimenticare. Il risultato sono i suoi due ultimi libri: “Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema” e “Bambini perduti. Quando i piccoli non hanno bisogno dei grandi. Storie della parte migliore del genere umano”.
 

Il primo, fra scienza e racconto, humour nero e tragedia, è un libro di antropologia che si legge come un reportage e si chiude con una domanda tanto paradossale quanto inquietante. Ci prepariamo ad assistere alla nascita di una nuova specie? Homo nihil, il povero più povero, sarà il prossimo anello dell’evoluzione umana?

Nel secondo, Salza ci presenta i bambini del mondo, molti bambini da lui incontrati, per quello che sono, molto diversi da quelli che abitano il nostro immaginario. Non sono "piccoli uomini incompleti" o "adulti in potenza", ma costituiscono una società-cultura a sé stante, con caratteristiche autonome da quella dei grandi. Dalle desolazioni africane alle nostre città, passando per gli slum e i campi rom, emerge un dato costante e inquietante: ragazzi e ragazze, da zero a diciotto anni, tendono sempre più a fare da soli, ad autorganizzarsi e, soprattutto, a non fidarsi di questi adulti. Sono “bambini perduti”, ignorati nelle loro reali esigenze da padri e madri metropolitani, obbligati a salvarsi fuggendo da soli dai Paesi in guerra, oggetto delle accuse di stregoneria nei villaggi africani, tentati e ammaliati dal peggio che offre la cultura adulta occidentale. L'autore colleziona storie da ogni zona del mondo per abbozzare un ritratto collettivo del "mondo bambino" che non può più essere dipinto in rosa e azzurro ma più spesso assume i colori contrastati e violenti di un quadro espressionista. Un'età difficile e sconosciuta, che rappresenta però la parte migliore, più evoluta e preparata al cambiamento della specie umana.

 

 


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